Le parole e i modi di dire genovesi più famosi

Tutti sanno cosa vuol dire “belin”, ma sapete che “gabibbo” è un termine dialettale genovese?
Una donna stende i panni su un balcone in una strada di Genova

Il dialetto genovese è una variante della lingua ligure, ossia la lingua regionale che si parla in Liguria. Il genovese è solo una delle varianti presenti in Liguria, ma è quella più prestigiosa e anche quella più diffusa. Perciò, molti dei modi di dire genovesi che vedremo in questo articolo possono anche essere considerati modi di dire liguri.

Come spesso accade, quando si parla di dialetti e lingue regionali, i confini sono molto labili. Quel che è certo, è che la lingua ligure e il dialetto genovese hanno radici molto antiche e l’importanza rivestita da Genova per secoli ha fatto sì che influenze del genovese si possono trovare in molte lingue, italiano compreso.

Per esempio, l’italiano ha preso dal dialetto genovese e molti di questi termini sono parole del linguaggio marinaresco: “scoglio“, per esempio, ma anche “gassa” e “bolentino”. E, a sua volta, la storia di Genova ha fatto sì che la sua lingua prendesse in prestito termini di altre lingue: “darsena” viene dall’arabo (e del resto tante parole in italiano derivano dall’arabo) mentre “travaggio” cioè “lavoro” viene dal francese.

Insomma, il genovese è un dialetto davvero affascinante e con tanta storia alle spalle: ecco perché abbiamo deciso di raccogliere le parole genovesi e i modi di dire genovesi che preferiamo!

20 modi di dire genovesi da conoscere assolutamente

Manimàn (o manaman)

“Manimàn” vuol dire “non sia mai” (ad esempio: “Non sia mai che ti acchiappi!”, per avvertire qualcuno) e viene spesso usato anche per fare dell’ironia, tipo “Non sia mai che ti stanchi”. In generale, comunque, è quella parola che si usa quando c’è dell’incertezza, tipo “prendi l’ombrello, manimàn piove”.

Perlengueuia (o perlengueuia)

La perlengueuia è la fattura, il malocchio. Ha un’origine etimologica abbastanza misteriosa, ma pare che derivi da un verbo che vuol dire “consumare”: e così il malocchio vi consuma pian piano.

Ciattella

Il significato di “ciattella” è “persona pettegola” e si usa anche come verbo: quando si è tra amici e si parla di gossip, a Genova “si ciattella”. Il significato letterale di “ciattella” è “piattola”, detto anche “pidocchio del pube”, un insetto particolarmente fastidioso che si nasconde nelle zone pelose del corpo umano. Insomma, se a Genova chiamate qualcuno “ciattella” non state facendo un gran complimento a quella persona.

Belin

Veniamo ora a una delle parole genovesi più conosciute in tutta Italia, anzi probabilmente la più famosa: “belin”. Potremmo dedicare un solo articolo a questa parola, non solo per la sua etimologia, ma anche per i tantissimi modi di dire genovesi che la riguardano. Ad ogni modo, “belin” è l’imprecazione genovese per eccellenza: letteralmente identifica l’organo sessuale maschile, ma ovviamente viene usato in una miriade di modi diversi. Eccone alcuni:

  • A belin de can: fatto male
  • Abelinàto: persona poco intelligente
  • Belinare: raggirare
  • Belinata: una cosa molto facile o un’azione eseguita in maniera maldestra
  • Imbelinarsi: inciampare
  • Imbelinare: riporre senza cura, creare confusione
  • Me n’imbelino: accidenti (in modo rafforzativo)
  • Portâ via u belìn: levarsi di torno, andarsene
  • Tiâ o belìn: prendere in giro

Moccio

Tra le parole e i modi di dire genovesi più comuni ci sono anche dei falsi amici: per esempio, moccio, in genovese, non è quello del naso ma è lo chignon, cioè l’acconciatura con cui si raccolgono i capelli.

Refrescumme

Avete presente quell’odore di uova o di pesce che a volte rimane sui piatti, anche se li abbiamo lavati? Il dialetto genovese ha una parola per definirlo: refrescumme, molto simile al modo di dire veneto “freschin”.

Piscio e vegno

Tra tutti i modi di dire genovesi, questo è di sicuro il più divertente. No, non vuol dire quello che pensate, ma è la parola che si usa a Genova per… i fiammiferi, in particolare quelli molto lunghi. Ebbene sì: visto che si tratta di zolfanelli molto lunghi, si fa in tempo ad accenderli, andare in bagno per fare la pipì e trovarli ancora accesi al proprio ritorno… geniale no?

Ghignon

Il ghignon, in genovese, non è un sorriso ironico o malevolo, ma piuttosto “antipatia” o anche “collera”. L’origine di questa parola è basca, una delle lingue più antiche del mondo: altra prova dell’importanza culturale che ha avuto il dialetto genovese nel corso dei secoli e dei numerosi legami con le altre lingue e culture.

No basta manco Maraggian

Questo curioso modo di dire ha a che fare con una persona vissuta realmente: Edoardo Maragliano, un medico che ideò il vaccino contro la tubercolosi. Fu, tra le altre cose, anche Senatore della Repubblica ed è insomma una figura di spicco della città. Oggi, lo si ricorda con questa espressione: quando ci si trova in difficoltà finanziare, a Genova si dice “no basta manco Maraggian”, per dire che nemmeno Maragliano riuscirebbe a sbrogliare una situazione tanto complicata.

Gondon

Letteralmente, “gondon” significa “profilattico” ma in dialetto genovese viene utilizzato per indicare una persona poco sveglia (diciamo così).

Essere nella bratta 

La bratta, a Genova e dintorni, è il fango e quando si dice che si è “nella bratta” si intende dire che ci si trova nei guai, o che qualcosa sarà molto complicato da raggiungere (“è bratta trovare i biglietti per quel concerto”).

Cianin Cianin

Come tanti modi di dire, “cianin cianin” può essere usato in modo diverso a seconda del contesto. Vuol dire, come forse avrete intuito, “pianino pianino”: potete suggerirlo come un saggio consiglio, se qualcuno si trova in una brutta situazione e rischia di reagire impulsivamente, oppure potete dirlo con ironia a qualcuno che prende sempre le cose con troppa calma.

Rebigo

Il rebigo in genovese è una strada tortuosa e si utilizza, per esempio, quando avete dovuto fare un percorso particolarmente complicato per arrivare da qualche parte.

Tapullo

Lo stereotipo vuole che i genovesi siano gente molto parsimoniosa e in effetti ci sono dei modi di dire genovesi che lo confermano: per esempio, “tapullo” è quella riparazione di fortuna che si improvvisa quando un oggetto si rompe e non volete spendere dei soldi per comprarne uno nuovo. Lo si può usare anche come verbo (“tapullare”) col significato di “metterci una pezza”, in senso figurativo.

Attacca pomelli

Quello che in italiano è l’attaccabottone, in genovese è l’attacca pomelli, che però in questo caso ha una valenza più negativa e può essere tradotto con “persona logorroica”.

Sciachelo

Ecco un’altra delle parole genovesi che non sono esattamente dei complimenti: “sciachelo” si usa per definire quelle persone facili da raggirare perché troppo buone o ingenue.

Cucullo

Queste frittelle di farine di ceci sono un must per chi vuole provare lo street food genovese ma occhio a rivolgervi a qualcuno con questa parola perché è l’equivalente di “sciocco”, “credulone”!

Gabibbo

Questa lista delle parole e dei modi di dire genovesi non poteva certo ignorare un termine celeberrimo come “gabibbo”. Popolarizzato dal programma televisivo “Striscia la notizia”, questa parola ha una storia molto particolare. “Gabibbo”, infatti, era il modo con cui i marinai genovesi chiamavano gli scaricatori di un porto nell’attuale Eritrea ed era una storpiatura di Habib, nome proprio molto comune da quelle parti. Da allora, il termine è rimasto per indicare chi non è ligure.

Besugo

E se conoscete il Gabibbo di Striscia la notizia, vi sarà sicuramente capitato di sentirlo dire “besugo”: si tratta del nome dialettale di un pesce (il pagellus bogaraveo, in italiano “pagello” o “pezzogna”) e che a Genova identifica anche una persona poco sveglia.

Loasso

Rimaniamo in ambito ittico, perché nel dialetto genovese ci sono vari modi per rivolgersi con epiteti poco carini che hanno a che fare coi pesci e “loasso” è uno dei più celebri. Questo termine identifica il branzino (o spigola, che dir si voglia) e anche in questo caso viene usato per dare a qualcuno dello sciocco.

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