Le parole di Carnevale: quali sono e da dove vengono?

Ma soprattutto, perché tutto il mondo li chiama “confetti” e noi “coriandoli”?!
Un pupazzo di Arlecchino, con una città sullo sfondo.

Il Carnevale è una delle feste più curiose che esistano: sembra una festa pagana, ma è in realtà legata al mondo cattolico, visto che il Carnevale precede la Quaresima, ossia i quaranta giorni precedenti alla Pasqua durante i quali si dovrebbero praticare la carità, la preghiera e il digiuno ecclesiastico. In vista di questo periodo all’insegna della rinuncia, le settimane di Carnevale hanno delle caratteristiche certamente meno sobrie. Del resto, il Carnevale deriva da celebrazioni pagane come le Dionise greche o i Saturnali romani, momenti dedicati alla festa e al sovvertimento dell’ordine costituito. Ma quali sono le parole di Carnevale più importanti da sapere? Ne abbiamo scelte 7: scoprite la loro storia!

Le 7 parole di Carnevale e la loro origine

1. Carnevale

Cominciamo dalla parola stessa: carnevale. Sull’origine della parola c’è qualche dubbio, ma in molti sembrano concordare che carnevale venga dalla locuzione “carnem levare”, cioè “togliere la carne”, in relazione al fatto che al termine del Carnevale e all’inizio della Quaresima si doveva cessare l’uso di carne. Da Carnevale deriva poi il termine “carnevalata”, una parola che indica una situazione poco seria e che ovviamente si riferisce all’atmosfera goliardica di questa festività.

2. Quaresima

Ok, data la dimensione decisamente molto seria, la quaresima non dovrebbe comparire in una lista della parole di Carnevale, ma quante volte vi è capitato di chiedervi quando cominciasse e in cosa consistesse? La Quaresima è il periodo immediatamente successivo al Carnevale e identifica i 40 giorni precedenti alla Pasqua. Se il Carnevale è una festa in cui dominano i bagordi e gli scherzi, la Quaresima è invece improntata alla sobrietà e al digiuno, per prepararsi adeguatamente all’arrivo della Pasqua. L’origine del nome quaresima è dal latino quadragäsëma, cioè quarantesima, appunto perché la quaresima inizia nel quarantesimo giorno precedente alla Pasqua. Il carattere penitenziale della quaresima ha dato origine al modo di dire “lungo come una quaresima”, solitamente utilizzato per descrivere una persona molto prolissa.

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3. Scherzo

Scherzo, burla, celia: comunque lo vogliate chiamare, si tratta della quintessenza del carnevale. Ovviamente lo scherzo ha una definizione molto dibattuta, perché quello che per noi può essere uno scherzo divertente, per altri può essere un gesto di cattivo gusto. I limiti, come sempre, sono sempre molto labili. Anche per quanto riguarda l’etimologia c’è dibattito: pare che scherzo sia arrivato nella lingua italiana dal longobardo skerzōn, il quale l’avrebbe preso dal tedesco scherzën, che significava allora saltellare allegramente, gioire con tripudio. Ora quella dimensione si è smarrita ed è rimasta quella giocosa dell’atto. È inoltre interessante che recentemente, specialmente in ambito giornalistico e in particolare quello sportivo, scherzare si è imposto come termine equivalente a “essere platealmente superiore”: quando una squadra, o un tennista, si dimostrano di gran lunga superiori agli avversari si dice che li hanno “scherzati”: come se tale manifesta superiorità fosse una specie di scherzo ai danni dello sventurato antagonista.

4. Maschera

Oggi come oggi, con una pandemia che ha rivoluzionato le nostre vite come pochi altri eventi hanno fatto nel corso degli ultimi decenni, quando si dice mascherina si pensa istintivamente ai dispositivi di protezione per limitare il contagio da Sars-CoV-2. Mascherina deriva naturalmente da maschera, che tra le parole di carnevale è certamente la più versatile, dato che può cambiare radicalmente il proprio senso a seconda del contesto. A febbraio (o marzo, dipende dal calendario) la maschera è innanzitutto quella che si usa per coprire il volto e trasformarsi in qualcos’altro. Quella di mettere una maschera è un’usanza vecchia come il mondo e pertanto la sua etimologia non è chiarissima: pare che derivi da “masca”, che nel Medioevo veniva utilizzato nell’Italia settentrionale per indicare la strega. Il termine, ad ogni modo, è talmente vivace da diventare sinonimo di “personaggio fisso della commedia dell’arte” (Arlecchino è infatti, una maschera) ma in generale trasmette l’idea di un travestimento, di qualcosa che esula dalle usanze di tutti i giorni: basti pensare, per esempio, al ballo in maschera, che certo non presuppone l’utilizzo di una maschera vera e propria.

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5. Chiacchiere

Tra le parole di Carnevale potevano certo mancare i dolci per eccellenza, le chiacchiere? Come dite, voi le chiamate in un altro modo? Beh, siete in buona compagnia. Chiacchiere, frappe, bugie, cenci, galani, crostoli: praticamente ogni regione ha un modo diverso per chiamare questi dolcetti a base di farina, uova, zucchero, a cui si aggiunge una goccia di liquore prima di friggerli in abbondante olio. Non si sa esattamente perché si chiamino chiacchiere (che di tutte le varianti è quella più diffusa): pare che il cuoco di corte della regina Margherita diede questo nome al dolce dopo che la regina gli aveva chiesto di prepare un dolce da gustare durante le sue chiacchierate.

Mappa che mostra come si chiamano le chiacchiere, una delle parole di Carnevale più note, in tutta Italia.

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6. Coriandoli

Una tra le parole di Carnevale che confonde di più chi sta imparando l’italiano: ma come, non si dice confetti?! Infatti, moltissime lingue usano la parola italiana confetti per identificare quelli che noi chiamiamo coriandoli, dando luogo a delle divertenti incomprensioni. Come mai? C’è una ragione storica molto affascinante. Una volta, infatti, non si lanciavano questi innocui pezzettini di carta che hanno la simpatica usanza di infilarsi dappertutto causando pruriti indesiderati, ma dei veri e propri confetti, al cui centro a volte avevano dei semi di coriandolo. Pian piano coriandoli ha soppiantato confetti (che ora, in Italia, sono solo ed esclusivamente quei dolci che simboleggiano la fortuna e la prosperità) ma le altre lingue, evidentemente, non si sono adattate: ecco spiegata l’origine di questo frequente malinteso.

7. Martedì grasso

Ed eccoci al culmine della festa: il Martedì grasso, che conclude una settimana di giorni grassi e che sancisce la fine dei bagordi carnevaleschi per passare il testimonio alla morigeratezza della quaresima. Per via delle pietanza grasse che si consumano in questo periodo, il giorno più importante del Carnevale prende il nome, appunto, di Martedì Grasso, una tradizione, che va al di là dell’Italia visto che anche in Francia, per esempio, l’ultimo giorno di Carnevale è chiamato Mardi gras. E dopo il Martedì Grasso, cosa viene? Il Mercoledì delle ceneri, che dà il via alla quaresima ed è così chiamato per via dell’usanza religiosa un pizzico di cenere sulla testa dei fedeli per ricordare loro che la vita terrena ha una fine per spingerli ad affrontare con impegno il periodo di penitenza: bel cambio di scena, eh?

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Bonus: il proverbio di Carnevale che vi farà sembrare colti

Ora che avete fatto scorpacciata di parole di Carnevale, è ora di imparare un modo di dire che vi farà sembrare molto colti (ok, forse non è questo lo spirito del Carnevale, ma meglio dei modi di dire triti e ritriti): Semel in anno lecit insanire, ossia, “Una volta all’anno è consentito impazzire”. Pare che questa espressione derivi da un passo di un’opera di Seneca, noto per la sua morigeratezza e l’integrità morale: insomma, se lo dice perfino Seneca, chi siamo noi per contraddirlo?


📸 by Bruno | FlickrCC BY-SA 2.0

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