La lingua che nessuno parla e tutti capiscono

Storia del grammelot, la lingua inventata dei giullari che Dario Fo utilizzò nel “Mistero Buffo”.
Giullari alla corte dell'imperatrice Anna I di Russia

Quando si parla di grammelot, si parla necessariamente di Dario Fo, ma questa lingua ha delle radici molto più antiche. A Fo va senz’altro riconosciuto il merito di aver recuperato una tradizione ormai dimenticata, dandole una nuova giovinezza, quantomeno in Italia. Ma che cos’è esattamente il grammelot?

Il grammelot non è esattamente una lingua, ma una tecnica di recitazione. Mettendo assieme suoni, onomatopee e parole prive di significato, gli attori che la utilizzano riescono a farsi comprendere da tutti. Ma com’è possibile? Beh, non sono attori per caso: un elemento fondamentale nell’utilizzo del grammelot sta infatti nella capacità dell’attore di farsi capire tramite l’espressività e dei suoni immediatamente riconoscibili.

Dario Fo, in questo, era un maestro: l’attore utilizzò il grammelot nella sua commedia più famosa, Mistero Buffo, nel quale mescolava dialetti italiani settentrionali, assumendone di volta in volta le varie cadenze a seconda del dialetto utilizzano. Quella che ne risultava era una lingua nuova, che nessuno parlava e tutti capivano.

Il modello dei giullari

Non è possibile stabilirlo con certezza, perché non esistono prove scritte, ma pare che gli inventori del grammelot siano stati i giullari e gli attori della commedia dell’arte. Dovendo farsi capire da un ampio pubblico che parlava lingue o dialetti diversi, questi attori utilizzavano una lingua franca inventata sul momento che diventava immediatamente comprensibile pur senza avere senso.

Non si sa esattamente da dove derivi la parola “grammelot”, né chi l’abbia inventata, anche se molti indizi portano a Dario Fo. Nemmeno sull’etimologia c’è un consenso universale. In molti pensano che grammelot sia un falso francesimo, ossia che derivi da grommeler, cioè “borbottare”. Sabatini e Coletti, però, hanno proposto una spiegazione più complessa, e cioè che si tratti di una parola composta da gram(maire), “grammatica”, mêl(er) “mescolare” e (arg)ot, ossia “gergo”.

Dario Fo e il grammelot

È stato Dario Fo a riportare in auge il grammelot. Quando ricevette il premio Nobel, nel 1997, l’Accademia spiegò che il merito di Fo consisteva nell'”avere emulato i giullari del Medio Evo, flagellando l’autorità e sostenendo la dignità degli oppressi”.

Lo stesso sottotitolo dell’opera (“Giullarata popolare in lingua padana del ‘400”), del resto, spiega a quale tradizione si voleva rifare l’attore. È interessante, comunque, che l’opera non venne scritta (e recitata) in una “lingua padana” ma appunto in un grammelot di vari dialetti settentrionali.

Il passaggio più famoso dell’opera si chiama “La fame dello Zanni”, nel quale Fo impersona un contadino del Nord Italia medievale fiaccato dalla fame. Fo prima delinea il contesto storico e poi spiega che “Zanni è il prototipo di tutte le maschere delle commedie dell’Arte”. A differenza di Pulcinella e Arlecchino, però, lo Zanni è stato creato a partire da persone reali.

La lingua utilizzata da Fo nei panni del contadino Zanni è una mescolanza dei dialetti lombardi, veneti e piemontesi. Solo qualche parola sarà immediatamente comprensibile, dice Fo al pubblico, tutto il resto sarà una sequela di grugniti e suoni gutturali. Senza bisogno di una maschera e dotato del solo talento espressivo, Fo riesce però a farsi capire da chiunque, creando un effetto comico impareggiabile.

Altri esempi di grammelot

Ma Fo non è il solo artista ad aver utilizzato il grammelot. In una celeberrima scena di Tempi moderni, Charlie Chaplin, non sapendo le parole di una canzone, improvvisa il testo e ci aggiunge le sue inimitabili capacità espressive.

Il grammelot, infatti, può essere utilizzato mescolando qualunque tipo di lingua e registro linguistico. Lo stesso Fo, per esempio, sperimentò questa tecnica replicando l’intonazione e lo stile della lingua francese, del linguaggio giornalistico e della lingua inglese. Adriano Celentano, nella canzone Prisencolinensinainciusol, fece la stessa cosa, cantando in una lingua che non esiste ma che replicava i suoni dell’inglese americano.

In quest’altro video, invece, si può ammirare tutto il talento di Gigi Proietti nell’imitare il dialetto napoletano.

Il grammelot di Pingu

E se tutti questi esempi vi hanno fatto venire in mente un programma televisivo della vostra infanzia… beh, ci avete azzeccato. Anche Pingu, il pinguino protagonista di una serie animata svizzera in stop-motion che ebbe molto successo qualche anno fa, parla una specie di grammelot.

In pochi sanno che a doppiare i personaggi di Pingu era un attore italiano, Carlo Bonomi, che si rifece esattamente alla tradizione dei giullari di cui abbiamo già parlato. Niente di quello che dice Pingu è comprensibile. Eppure, grazie alla bravura di Bonomi, si capisce perfettamente quando la mamma di Pingu è arrabbiata, quando Pingu è felice e così via.

Bonomi aveva già avuto modo di utilizzare questa lingua inventata per un altro personaggio ben noto al pubblico italiano, “La Linea”, una fortunatissima serie animata che andò in onda dal 1971 al 1986 e nella quale i personaggi parlavano un grammelot che deriva dal dialetto milanese.

Insomma, una lingua universale che nessuno parla e tutti capiscono, con centinaia d’anni di storia alle spalle. Il grammelot è un mix di storia, arte e comicità che non è forse alla portata di tutti – solo di chi ha un talento espressivo fuori dal comune, verrebbe da dire – ma che ha un pregio che nessuna lingua può vantare: è comprensibile da chiunque.

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