Il veneto di Calimero e altri dialetti nel Carosello

Ve lo ricordate il Carosello, con i suoi jingle e i gli slogan entrati in tutte le case italiane? E avete mai notato che alcuni dei suoi personaggi animati parlano dialetto? Calimero, ad esempio, era veneto. Capitan Trinchetto, invece? E Miguel? Ecco una rapida carrellata!
Dialetti del Carosello

Illustrazione di Eleonora Antonioni

Fate un esperimento: aprite un qualunque blog dedicato al marketing; individuate la sezione “cerca”; digitate “storytelling”.
La mole di risultati generati vi darà una buona idea visiva di quanto questa buzzword sia diventata una vera e propria ossessione di pubblicitari, social media manager, specialisti di customer care (ora la smetto con gli anglicismi, mi servivano per rendere il tono), comunicatori in generale.

“Raccontare una storia”, dunque, come uno dei metodi di marketing più efficaci ai tempi del digitale. E innovativi. Se non che qualcuno, nell’Italia del Miracolo economico (che ancora si stava rialzando dalle macerie della grande guerra e di quella civile), ci aveva già pensato.
È il 3 febbraio del 1957, la RAI è nata da poco più di 3 anni, esiste un solo canale (“Il Programma Nazionale”, ovvero l’attuale RAI1). Sigla! Va in onda la prima puntata del Carosello, un’allegra infilata di réclame dal ritmo incalzante, tutte composte di 1,45 minuti di “spettacolo” (leggi “storytelling”) e di 30 secondi di “codino” finale (la parte più strettamente pubblicitaria; qualcuno oggi la chiamerebbe “call to action”).

Con i tempi serrati degli spot del Carosello si sono misurati grandi attori (Totò, Alberto Sordi, Vittorio Gassman… giusto per scegliere tre giganti nella mischia), grandi registi (del calibro – per fare anche in questo caso solo tre esempi – di Sergio Leone, Ermanno Olmi, Federico Fellini), e una nuova scuola di animazione italiana dalle cui fucine uscirono personaggi memorabili come Calimero, l’Omino coi baffi della Bialetti, Carmencita.

Un format perfetto, a orologeria, che sopravviverà intatto e insostituibile per due decenni, facendo irruzione in tutte le case degli italiani, nel folclore, nel costume, nelle chiacchiere da bar; e provocando l’incastonatura di personaggi e motivetti musicali nelle teste di tutti i cittadini (e consumatori) del Belpaese… e dopo il Carosello, tutti a nanna! Insomma: dettava anche i ritmi sonno-veglia dei più piccoli.

Le lingue del Carosello

L’italiano è una lingua che nacque “sulla carta” e in un circolo assai ristretto: il fiorentino letterario di Dante, Petrarca e Boccaccio (le “Tre corone”) che due secoli dopo Pietro Bembo (tra gli altri) indicò come esempio di grammatica, morfologia, sintassi e vocabolario. Alla fine dell’Ottocento, nelle scuole dell’Italia da poco unita si leggevano – in perfetto italiano – “I promessi sposi” del Manzoni; poi, ogni alunno, quando tornava a casa, parlava in dialetto con genitori, fratelli, nonni, zii, vicini, tabaccai, farmacisti.
Per avere una lingua italiana realmente diffusa nel parlato quotidiano, dobbiamo aspettare le guerre mondiali, con i soldati che al fronte giungono da tutte le regioni d’Italia, e soprattutto l’avvento di un elettrodomestico chiamato televisione. Più delle “Tre corone”, di Bembo e di Manzoni, poté Mike Bongiorno.

Le linee guida della RAI dei primi tempi erano molto chiare e rigide: niente dialetto, niente cadenze o lessico regionali; sullo schermo si deve parlare l’italiano “perfetto”, e con perfetta dizione. Valeva per tutti: attori e attrici, annunciatrici, presentatori, giornaliste e giornalisti dei telegiornali. Tranne per il Carosello, che andava in controtendenza, e non rifiutava le caratterizzazioni locali. Anzi ci giocava, le caricava e – soprattutto – le utilizzava come strumento per avvicinare lo spettatore alle storie (…e ai prodotti da vendere, naturalmente).
C’era il milanese “Dura minga” per la China Martini (qui con una giovanissima Sandra Mondaini nei panni stereotipati di una turista giapponese). Il romanesco di Ninetto Davoli, che in questo spot per la Saiwa si aggira cantando sguaiatamente in bicicletta per le vie dell’Urbe deserta. Il piemontese del Signor Veneranda, o il genovese mugugnato del portiere Bàccere Baciccia per il Tè Ati.

Fin qui i personaggi in carne ed ossa. Ma il Carosello è stato anche – e forse soprattutto – cartoni animati. E anche qui dialetti, localismi e cadenze regionali vennero ampiamente sfruttati.

Calimero (il veneto) e gli altri

Calimero –  lo conoscete – è quel pulcino tutto nero, con un mezzo guscio d’uovo in testa a ripararlo dalle intemperie. Nacque bianco. Ma pochi attimo dopo la schiusa finì malauguratamente in una nera pozzanghera; e la madre, a quel punto, non lo riconobbe più. Ci pensa una fatina, che grazie all’azione magica (chimica, in realtà) di un noto detersivo gli fa ritrovare lo splendore, e l’accettazione materna, e – diremmo quasi – anche quella sociale… e tutti vissero lindi e contenti. Insomma, una storia che oggi sarebbe considerata tutto tranne che politically correct.
In ogni caso, Calimero deve l’esordio della sua sfolgorante carriera a uno spot del Carosello. Il pulcino era figlio del quinto uovo di una gallina veneta – padovana, per la precisione. Ecco, nel video, il momento della sua nascita:

Con Miguel, testimonial disegnato dei biscotti Talmone, restiamo in Veneto. Anche se non si capisce bene per quale motivo un messicano con baffi e sombrero si esprima in veneto, appunto (con tanto di jingle dialettale a supporto):

Dal Nordest (all’epoca zona di grande emigrazione) ci trasferiamo al Nordovest. Capitan Trinchetto, in questo spot, racconta di quella volta che – in mare – incrociò l’imbarcazione di Ulisse alla ricerca di Penelope. O forse no, era Colombo diretto in America. No, no: era il capitano Achab sulla scia di Moby Dick. La verità? Era la nave della capitaneria di porto sulle tracce di Capitan Trinchetto, pescatore di frodo dallo spiccato accento genovese.

Caio Gregorio, testimonial per Rhodiatoce (azienda di tecnofibre), è invece “er guardiano der pretorio”. E – naturalmente – parla romanesco (con forte tendenza alla rima baciata):

E – per concludere ridiscendendo tutto lo Stivale – il Vigile Concilia si sbraccia e si accalora con evidente cadenza siciliana. Qui, in uno scena per il “Supersucco Lombardi”, è alle prese con il pacioso Gedeone, altrimenti conosciuto come l’ultimo pedone.

E, infine, una chicca etimologica (che ha a che fare sempre con il dialetto)

Carosello, in origine, deriva dal napoletano “carusiello”, che indicava una piccola palla di creta (a sua volta da “caruso”, che in siciliano significa “ragazzo”, e in napoletano indica una testa calva… da qui la similitudine con la palla di creta). Bene, gli spagnoli introdussero nella città partenopea, intorno al XVI secolo, un gioco per cavalieri basato sul lancio di queste palle di creta. Il divertimento ebbe successo, e con esso il termine. Che si allargò fino ad indicare le giostre girevoli che facevano la gioia dei ragazzi e delle ragazze alle fiere.
Il Carosello televisivo prese spunto da qui: una girandola di storie e di réclame che si susseguivano proprio come in una giostra.

E dopo Carosello... tutti a nanna?
E se iniziassi a imparare una nuova lingua?
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