Danze tradizionali e popolari nel resto del mondo

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta delle danze tradizionali del mondo…
belly dance

Abbiamo fatto un giro danzante d’Europa, ma non possiamo trascurare la ricchezza delle tradizioni folcloristiche del resto del mondo: le danze tradizionali sono davvero moltissime, e ognuna di esse meriterebbe un approfondimento speciale, ma qui ci soffermeremo solo sulle più caratteristiche…

Medioriente

A chi, come prima immagine di danza orientale, non viene subito in mente l’immagine di una velata danzatrice del ventre? In arabo è chiamata Raqs Sharqi, ovvero Danza dell’est: si tratta di una danza classica reale del medioriente, che ha origini antichissime. È praticata nei paesi arabi come Libano, Turchia, Iraq, Egitto e del Maghreb (lett. il luogo dove, per gli arabi, il sole tramonta: Marocco, Algeria e Tunisia) in modo diverso a seconda della provenienza geografica e della musica che l’accompagna; gli stili sono innumerevoli, così come gli accessori che possono essere scelti – oltre ai veli, cimbalini in ottone o bronzo, tamburelli, candelabri e spade. Caratterizza un momento di incontro e aggregazione nei periodi di festa. In principio, era strettamente legata al culto della fertilità, della Dea Madre; l’evidente richiamo sta nei movimenti sinuosi e rotatori della vita che rimandano al ciclo della vita naturale, al susseguirsi delle stagioni, alla fertilità, alla riproduzione e alla nascita; non a caso, è stata a lungo considerata peccaminosa proprio a causa dell’elevato potere afrodisiaco, e dall’intento seduttivo non certo implicito. Oggi è diffusa anche come spettacolo.

La Dabka (o Dabkeh) è invece una danza popolare di gruppo tipicamente maschile, il cui nome deriva dal verbo yadbuk, ovvero battere i piedi per terra e sta proprio a significare l’attaccamento e l’amore per la propria terra (eccola). È sempre accompagnata da musiche cantate, spesso precedute da poesie (mawal) caratterizzate da parole polisemantiche.

Un discorso a parte richiederebbe la danza roteante, profondamente spirituale, praticata dai dervisci, (dal persiano e arabo darwish, povero), discepoli di alcune comunità islamiche che intraprendono la via dell’asceticismo.

Africa

In Kenya e Tanzania, l’Adamu (lett. danza saltata) è praticata dai masai durante le cerimonie di celebrazione della maggiore età. Ci avrete provato anche voi, per gioco, a saltare ‘il più in alto possibile‘: qui la faccenda si fa più seria. I giovani uomini si dispongono a semicerchio e saltano a turno; più saltano in alto, più forti e degni saranno considerati dai compagni che assistono, incitando e sostenendo i partecipanti a questo rito di passaggio. Il salto deve assolutamente essere un gesto estetico ed elegante, motivo per cui anche il costume è adeguatamente colorato (in genere è rosso) e adornato (con decorazioni di perline e collane); non si fa uso di maschere, ma i corpi sono spesso tatuati.

Asia

Impossibile esaurire il capitolo sulle danze popolari in Cina in poche righe, perché sono estremamente varie (dal teatro al balletto, passando per la danza rituale e quella acrobatica), in virtù dei numerosi gruppi etnici presenti sul territorio: ogni minoranza ha naturalmente le sue pratiche performative. Sapevate che il più antico carattere cinese per «danza» è proprio una rappresentazione stilizzata di un danzatore? Tra le danze tradizionali, eseguite in occasione di riti religiosi o celebrazioni, se ne possono comunque individuare due, eseguite per le festività. Sappiamo tutti che la Danza del drago è tipica del Capodanno cinese, in patria come nelle chinatown di tutto il mondo. Il lungo corpo di un drago finemente decorato, come anche la sua testa, viene issato su aste sostenute da almeno una dozzina di persone che sfilano simulando il movimento ondulatorio dello spirito nelle acque e per tradizione ci si richiama a questa creatura fantastica come simbolo di forza e dignità, latore di buona sorte, pur nell’ambivalenza di temibile forza; non a caso il simbolo ben si presta a indicare anche la figura dell’autorità (imperiale).

La Danza del leone viene spesso confusa con la precedente, perché anch’essa è frequente durante festività come il Capodanno e per la festa di metà autunno. Questa danza è solitamente eseguita da abili acrobati: due di essi indossano un grande costume dalle sembianze mostruose, mentre altri artisti, che rappresentano gli esseri umani, danzano intorno al terribile animale. Nel kung-fu questa danza è simbolo di forza e buona sorte, perché il leone è considerato un animale sacro in grado di scacciare il male.

In Tibet esiste una danza tradizionale che significa «armonia nello spazio»: attraverso la Khaita si vuole promuovere l’interazione di un individuo con l’ambiente e le altre persone che lo abitano. È risaputo come la danza sia arte di muoversi nel tempo e nello spazio, intensificandone la comprensione fino a fa far risuonare l’interiorità della persona nell’universo; in questo modo ci si avvicina all’esperienza di una gioia piena. Ascoltate cosa dice il venerabile Chögyal Namkhai Norbu: il movimento è vita, e il corpo traduce il pensiero.

A questo punto, si potrebbe dire che in tutte le zone dell’Asia orientale, le danze siano vere e proprie rappresentazioni spettacolari, eseguite con maschere, make-up e un altissimo grado espressionistico, costumi di scena, decorazioni minuziose e una varietà di accessori capaci di rendere ogni movimento qualcosa che è molto più di una semplice danza.

Il Kathakali – tipico della regione di Kochi in India – è un maestoso spettacolo dove i ballerini sono abbigliati con imponenti costumi coloratissimi e pesantemente truccati perché ogni minimo movimento del corpo e del volto evoca emozioni molto diverse, come l’amore, l’odio, la paura e la gioia. Sembra che fino al secolo XVII l’esibizione avvenisse durante la notte, a lume di candela, finché questa non si fosse completamente consumata. Potete impararlo qui, prima di proseguire più a est…

… arrivando così in Giappone. Si dirà solo di danze antiche, in origine giunte proprio dalla Cina. Sembra che la Bugaku sia la forma di danza di corte connessa alla musica più antica del mondo tramandata fino a oggi. Accogliendo l’influenza della religione shintoista, entrò alla corte imperiale nel VIII secolo d.C. come momento clou di molte cerimonie. È una danza elitaria, si esegue dunque con movimenti ripetitivi, lenti e solenni. I costumi hanno una parvenza ricercata, quasi barocca negli ornamenti; spesso vengono indossate anche grandi maschere decorate; si tratta, in genere di rappresentazioni di avvenimenti leggendari (una performance a Tokyo). La Kagura, invece, è una danza sacra (lett. musica per gli dèi) che si esegue durante un offertorio alle divinità per ottenere in cambio un favore richiesto. Le sue origini si richiamano a un racconto mitologico, mentre, storicamente, nacque da una fusione di vari rituali della corte imperiale, affinché gli spiriti (in questo caso lo spirito dell’imperatore) potessero distendersi. Si tramandano due diversi tipi di kagura, ma la danza si svolge essenzialmente in tre momenti: al rituale di purificazione del luogo affinché la divinità possa manifestarsi, segue una parte spettacolare il cui fine è divertire e intrattenere la divinità; infine il congedo dalla divinità (per un’idea più precisa).

Eccoci giunti in Indonesia, dove la rappresentazione più popolare è senza dubbio la danza sacra Barong: è una messa in scena allegorica della lotta tra il bene e il male, tra Barong, una divinità dalle sembianze di drago (una maschera animata da un paio di uomini), simbolo del bene come in molte culture dell’estremo oriente, e la strega malefica Rangda, sua avversaria. L’elemento curioso è che in questa lotta non può esserci un vincitore, perché il bene e il male sono eternamente compresenti nella vita degli uomini. La danza si conclude non di rado con la trance di alcuni spettatori.

La Kecak, chiamata anche Danza delle scimmie, ha avuto origine da un rito pre-induista per scacciare la peste: è diventato un vero e proprio spettacolo in cui gli uomini a torso nudo (da 50 a 150), riuniti in cerchi concentrici, si dimenano, battono le mani, agitano le braccia e creano con la voce un suono ipnotico, cak cak cak. A un certo punto, entrano nel cerchio ballerini vestiti da scimmia o con abiti sgargianti che danzano per raccontare la lotta di Rama, aiutato da Hanuman (la scimmia bianca) a liberare la moglie rapita da un re straniero (l’episodio è ispirato al Ramayana uno dei grandi poemi epici indiani). Appena prima della fine, c’è un momento dedicato alla Danza del fuoco, dove un ballerino in trance cammina sui carboni ardenti.

Oceania

In Australia sono molteplici le danze dei nativi aborigeni; abbiamo pensato alla Wangga (o Wongga), un genere di musica e cerimoniale indigeni dell’area più a nord del paese. Attraverso il canto e la danza si esprimono temi ancestrali, legati al ciclo della natura, alla morte e alla rinascita: le musiche e i testi delle canzoni sono ‘ricevute’ in sogno dagli spiriti degli antenati. La preparazione alla danza di giovani uomini implica la decorazione simbolica del corpo con pigmenti (un’idea è qui).

In Nuova Zelanda la danza Māori per eccellenza è l’Haka. Probabilmente vi sarà capitato di assistere a una partita di rugby dei campionissimi All Blacks, la squadra Nazionale neozelandese. Prima di ogni partita la squadra esegue il Ka mate (lett. è la morte), lo stile più conosciuto di questa danza, composto nel primo ventennio dell’Ottocento dal capo della tribù dei Ngati Toa, per celebrare la forza della vita sulla morte. Ma di cosa stiamo parlando, esattamente? Di una complessa e impetuosa arte performativa tradizionale, praticata ovunque (nell’esercito, a scuola e in università…), il maestro dice: «kia kōrero te katoa o te tinana», ovvero: «il corpo intero deve parlare». È un’espressione di orgoglio identitario e appartenenza, ogni minimo movimento è pensato per impressionare, o intimidire: in questo modo si cercava proprio di prevenire lo scontro! Ancora oggi si danza in gruppo, gli uomini tatuati sono disposti su diverse linee e roteano gli occhi spalancati (pukana), cacciano fuori le lingue con veemenza (whetero), digrignano i denti e si battono il corpo per manifestare coraggio; eventualmente, le donne li accompagnano con il canto… in passato, la reputazione delle diverse tribù era direttamente proporzionale alla loro abilità come danzatori di haka, in particolare del loro leader. Gli stili sono differenti, il più noto e praticato, almeno dal XIX secolo è il Kapa haka, e i canti sacri (waiata) ne sono parte integrante. Volete vederlo? Contrariamente a quanto di pensi, però, non è esclusivamente un rito guerriero per rinsaldare i cuori prima del combattimento, anzi, è un modo per manifestare libermente i sentimenti, anche quelli di gioia (come in questo caso)!

In Polinesia, la danza tradizionale è legata a riti molto antichi che riguardano il rapporto dell’uomo con la terra madre e sono state tramandate fino ad oggi, nonostante la colonizzazione, grazie a una trasmissione prettamente orale e privata. Sappiamo bene che, politicamente, l’arcipelago delle Hawaii è uno stato degli Stati Uniti d’America, eppure, la Hula è uno degli stili più riconoscibili tra queste danze del Pacifico, insieme al Tamuré, conosciuto anche come Ori Tahiti.
La Hula è davvero caratteristica dello spirito havaiano, si tratta di una danza sacra antichissima, accompagnata da canti o canzoni (oli/mele), le cui movenze raccontano il percorso naturale e ciclico della vita. La hula ‘nello stile antico’ (composte prima della fine dell’800) è chiamata Ai Kahiko e presenta innumerevoli e complessi stili e stati d’animo, e ogni movimento ha un significato specifico; con le mani si possono rappresentare visivamente parole, aspetti naturali (e.g.: l’ondeggiamento richiama immediatamente l’idea delle onde dell’oceano o del vento) o sentimenti, come l’affetto o la passione. Un discorso a parte meriterebbero i costumi e gli strumenti usati per accompagnare questi spettacoli, dal tamburo di zucca alla pietra lavica, o alle canne di bambù… ma godiamoci questi danzatori.

La Tamuré si balla anche nelle Isole Cook e si presenta come un ballo energico e ritmato, accompagnato da percussioni infondono vibrazioni al corpo, in modo che i movimenti delle anche e dei fianchi siano particolarmente accentuati… come potete vedere, ci vuole un certo talento. Purtroppo oggi questa danza è per lo più considerata mero spettacolo, spirito originario viene però tramandato solo durante celebrazioni private.

Sudamerica

Per non perderci, facciamo una tappa velocissima in Brasile, ma non parleremo di samba, bensì, di Capoeira: nasce come arte marziale, ma è caratterizzata da musica, ritmo e armonia, per questo motivo tendiamo a considerarla una danza; ma anche in questo caso sono movimenti che mimano una lotta, per ricordare gli schiavi durante il periodo di colonizzazione portoghese. Oggi ci si confronta a due, con movimenti acrobatici sostenuti dai tamburi battenti.

Come in altri casi, anche il Forró dà il nome alla musica che lo accompagna; i canti raccontano la vita quotidiana e popolare delle zone in cui è diffuso. L’origine del nome è ambigua… c’è chi lo ritiene derivi dall’inglese «for all» ma è più probabile la derivazione dal termine africano forrobodó che traduce una situazione di confusione o disordine, tipico delle feste popolari. È una danza di coppia, che si deve ballare coladinhos o agarradinhos, letteralmente appiccicati! Sapevate che in Germania c’è un festival dedicato?

E dopo questa rassegna, dove vorreste andare a ballare?

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